di Luisa Cordova
Un post va sicuramente dedicato al viaggio organizzato, da me così poco amato e frequentato. Per inoltrarmi in questo territorio impervio nonché ostile, ho scelto una organizzazione che propone piccoli gruppi e soluzioni spesso spartane, ma cerca di cogliere lo spirito del luogo nel quale ci si trova. Insomma, cerca l’equilibrio possibile tra turista e viaggiatore, considerato il tempo a disposizione. Inoltre, cosa non da poco per me, non bisogna ‘impegnarsi’ tanto tempo prima, ma si può arrivare sotto data prima di pagare e quindi cambiare idea fino all’ultimo è possibile.
Io non l’ho fatto e non me ne sono pentita.
Niente è perfetto, come è ovvio, però grandi disagi non ne ho avuti.
Condividere tutto, comprese le stanze, con persone mia viste prima necessita di un tot di adattabilità. Che va allenata giorno per giorno.
Vanno affrontati i ritardi e i ritardatari cronici, le fisime sul cibo, i diversi gradi di intolleranza fisica e/o psicologica a questo o quell’alimento o modo di fare/essere. E poi, chi russa, chi fa battute discutibili (mai discutere, però, a meno di gravi violazioni etiche), chi chiacchiera troppo e chi troppo poco.
In un viaggio così, però, un amalgama potente è offerto dalla passione di sperimentare la maggior parte possibile del mondo e di condividere queste esperienze. Quello che abbiamo visto, ora è nostro. E possiamo offrirlo nei racconti.
Per tutto il tempo, in Islanda, ciascuno ha regalato agli altri le proprie avventure precedenti e i consigli, alimentando il desiderio di esplorare ancora.
Su questa base, le differenze di età, cultura, residenza geografica si sono distribuite senza veri traumi. La vacanza è stata divertente, con un indice di insofferenza direi minimo.
Merito anche della pazienza infinita della nostra ‘tour leader’ Alessia, che ha saputo tenere le fila dell’avventura anche nei momenti ‘estremi’.
Il mio personale attimo di smarrimento è stato quando ho visto il guscio nel quale avrei dovuto dormire. È vero, sapevo già che avremmo passato una notte in queste capsule individuali dal sapore spaziale. Non so cosa mi aspettassi, ma toccarle con mano all’inizio mi ha un po’ spaventato. Sono come sarcofagi a due piani, uno incastrato sull’altro, con una porta laterale a scorrimento. Fanno pensare a modernissimi loculi nei quali venire ibernati per essere risvegliati tra mille anni o dopo un lungo viaggio nello spazio per un altro mondo.
All’interno c’è un cruscotto di comando appunto ‘spaziale’ con le varie funzioni: l’aria condizionata, la porta usb, lo specchio che si illumina con una luce sua, la luce di cabina che è blu. La luce rossa di sos, però, è stata disattivata. Non commento.
L’idea di chiudersi li dentro, per me, è stata claustrofobica e mi sono guadagnata anche un cazziatone della proprietaria (anziana tedesca di temperamento) perché volevo portarmi dentro lo zaino. Solo quando ho capito che avrei potuto evitare di chiudermi dentro ermeticamente mi sono rassicurata e anzi poi mi sono anche divertita dell’esperimento.
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