La fortuna di questo viaggio in the road è stato il bel tempo. Il sole cambia i colori, fa scintillare l’acqua, tiene curiosi umore e gambe. Già mi ci vedevo, rattrappita in me stessa, appena a tirare fuori il naso per deprecare freddo e grigiore. Invece, il sole ha mostrato tutti gli arcobaleni d’Islanda. Le cascate, fiore all’occhiello di questo Paese, hanno inanellato giochi di luce incredibili, spolverando le rocce e le lave con una specie di bacchetta magica.
Ce li vedi, qui, rudi vichinghi ed elfi gentili aggirarsi tra le lave scarne, accarezzando le rare pecore e affrontando il turbine degli elementi.
In Islanda, la terra si spezza in due, attraversata dalla faglia che unisce e separa la placca americana da quella euroasiatica. È la faglia di Almannagjá, un’altro di quei nomi facili facili da ricordare e raccontare. La frattura è chiarissima e io (come mille mila altre persone) sono passata in mezzo alla specie di canyon che si è creato e si allarga di anno in anno. Ormai ci sono passeggiate e passerelle. Avvistati anche funghi.
Curiosità: adagiata nel mezzo con sprezzo del pericolo e della logica c’è una bella casa prima di protezioni di sicurezza che -dicono- essere dimora del primo ministro.
La storia racconta che già prima dell’anno mille qui si sia insediato il primo parlamento di Iceland circondato oggi da imponenti autogrill, parcheggi e costosissimi negozi di inutilissimi souvenir. Anzi, a quanto pare si trattava del primo parlamento in assoluto. Ce una bandiera islandese a guardia del sito, ma il tempo era così bello che pendeva floscia e la foto -che pure ho religiosamente fatto- non ha alcun senso. La metto lo stesso per il rispetto e l’ammirazione che porto a ogni forma di democrazia.
Btw: Il parco nazionale che racchiude faglia e parlamento si chiama Thingvellir, o scritto in islandese Þingvellir.
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