“All’inizio era tutto perfetto. Poi sono cominciate le questioni”.
Le ‘questioni’, come le definisce Sonia (nome a mia discrezione) sono opera corrosiva di svalutazione della moglie, qualche schiaffo, isolamento, istigazione alla rottura dei legami con la famiglia d’origine. Una sintesi da manuale del tipico maltrattamento in famiglia. Tipico, ma non per questo meno grave.
Una mala erba che attecchisce su “piccoli disguidi” e qualche “battibecco”, come racconta Sonia.
La loro è una storia come tante. Ma nella normalità può annidarsi talvolta qualche scintilla sbagliata.
Tre anni d’amore e d’accordo, poi il matrimonio. E subito dopo cominciano gli screzi. E gli abusi. Un passetto dietro l’altro, Sonia comincia a sentirsi ‘meno’, tenta di compiacere il marito, si fa esami di coscienza scrupolosi. Lui è sempre più insultante. Svillaneggia il suo desiderio di lavorare, critica il modo di tenere la casa (dare un contributo, no, quello no), pretende senza dare. Il rapporto con la madre e la famiglia di origine viene attaccato da ogni lato, proibito di fatto.
Arriva lo schiaffo. “Io gliene ho ridato subito uno”, racconta Sonia. “Non mi faccio mettere sotto e nemmeno le mani addosso. Io voglio lavorare, essere indipendente e realizzata anche fuori casa. Ho cercato un impiego anche in gravidanza”.
Ecco, il bambino. L’annuncio di essere incinta placa le acque. “Per un po’ sembrava di essere tornati ai tempi dell’idillio, lui era tornato gentile e affettuoso”.
Ma vivere con un neonato non è semplice. Ed ecco che ricominciano le urla e gli insulti diventano sempre più frequenti e feroci. “Non ti voglio più, vai via. Sei brutta e incapace” per essere espliciti. Impossibile per Sonia rifugiarsi dalla mamma. Se la nonna vuole vedere il bambino, deve essere lei ad andare.
Sonia non ne può più. Si sta organizzando per tornare al suo paese d’origine, dalla sua famiglia, ma viene bloccata dal lockdown. Mesi durissimi. Le scenate anche di fronte al bambino si susseguono. La paura che possa far del male al piccolo cresce.
Sonia decide di reagire e telefona alla Associazione ’Ali libere 1522’ di Noemi Sammartino. “Abbiamo deciso di offrire un supporto concreto alle donne in difficolta proprio durante il lockdown, un periodo in cui le tensioni familiari e, purtroppo anche le violenze, sono aumentate. Non subire passivamente, chiedete aiuto. Aiuto a una persona fidata, alle forze dell’Ordine, a una associazione, a uno dei numerosi centri antiviolenza contattabili attraverso il numero 1522.Noi ci siamo ”.
“Laddove vi siano situazioni pregresse di abusi e vessazioni o segnali di allarme per comportamenti prepotenti o persecutori, bisogna intervenire prima che accada il peggio”.
Noemi insiste sull’importanza dell’ascolto e del supporto psicologico. “Sono fondamentali per far uscire la persona dal’incertezza e dalla confusione. Devono sentirsi al sicuro, percepire che stanno facendo un primo passo verso la liberazione e dal’aguzzino che le tormenta. Per questo, oltre al ’primo soccorso’ gestito da volontari, mettiamo a disposizione di queste donne un avvocato e una psicologa per individuare la strada di intervento migliore”.
La storia di Sonia non ha ancora un lieto fine. Lei è nel mezzo della sua battaglia. Supportata dalle Ali libere. A lockdown finito, si è trasferita dalla mamma, dove le ferite, soprattutto psicologiche nel suo caso, si stanno rimarginando. Con grande equilibrio permette al papà di vedere suo figlio. “Sempre in nostra presenza, però”. Con la chiarezza che viene solo se non si è maltrattati, deciderà che strada percorrere.
Tre considerazioni.
La prima. È davvero interessante come Noemi e la sua associazioni insistano sulla necessità di reagire subito. Come se fosse una prevenzione a una malattia più grave. Il concetto di prevenzione rispetto ai maltrattamenti è innovativo e estremamente valido.
La seconda. Sempre più spesso le donne non sono lasciate sole. Hanno interlocutori a cui rivolgersi al primo segnale di allarme. Del problema si parla più apertamente di prima e le donne devono capire che se sono maltrattate non è motivo di vergogna. Sono vittime, non colpevoli.
La terza. Leggi e mentalità (spesso maschile) non sono adeguate. Minimizzare e svalutare sono comportamenti da combattere quanto la violenza in sé. Sono correità che ogni anno fanno salire il numero dei femminicidi. 47 vittime fino a settembre 2020, 72 vittime nel 2019: in media una donna uccisa ogni cinque giorni. Alcune di loro avevano denunciato. Altre avevano anche ottenuto l’allontamento e L ingiunzione di non avvicinarsi. Significa che le leggi non sono abbastanza efficaci, che chi deve vigilare sottovaluta.
Associazione Ali libere 1522
alilibere1522@advgirasole.it
www.advgirasole.it
La storia che ho raccontato viene dal gruppo siciliano di Canicattì 0922175225
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