Io sono Cenerentola. Sì, sì, proprio,’quella’ Cenerentola. Lo so, sono famosa in tutto il mondo. Almeno quello occidentale. Insieme alle mie amiche per la pelle, Biancaneve, Bella, Rosaspina (anche nota come Aurora). In barba al luogo comune della rivalità femminile, noi quattro andiamo d’accordissimo e, quando i nostri impegni professionali ce lo consentono, ci vediamo tutte insieme per una cenetta e due chiacchiere. Siamo molto affiatate. Come quelle della serie tv. uella con Sarah Jessica Parker … Non ho tanto tempo libero, ma Sex and the city l’ho visto anche io.
Sono qui per racontarvi me. Dopo tutto questo tempo in cui sono stata troppo occupata per raddrizzare le sciocche inesattezze sulla mia vita, così come la conoscete, penso sia il momento di darvi la mia versione. Lo faccio per il mio buon nome, ma anche per tutte le bambine. Lasviateveolo dire da chi lo sa per esperienza: sposare un principe va benissimo, soprattutto se lo è più di fatto che di nome. Ma è più importante (e divertente) tenere il futuro nelle proprie mani. Possiamo trasformare qualunque sogno in realtà, senza consegnarci mani e piedi a chicchessia.
Ecco come è andata per me.
Prima del matrimonio con Principe Azzurro, mi sono laureata in Architettura e oggi disegno e costruisco castelli. C’è molta richiesta, è un genere di abitazione di moda tra i nuovi ricchi. Personalmente lo trovo uno stile pomposo e so per certo che i castelli di una volta erano invivibili. Spifferi, scale inutili, spazi sprecati, percorsi tortuosi. Con l’esperienza diretta di averci vissuto e quella acquisita professionalmente, oggi posso dire con orgoglio che i miei castelli sono comodissimi e dunque molto ambiti.
Ma cominciamo dall’inizio. O almeno da quello che voi credete sia l’inizio: la casa della matrigna e delle sorellastre Anastasia e Genoveffa.
Come prima cosa, devo precisare che mia madre e mio padre non sono morti. Non quando ero piccola, per lo meno. Mia madre era una archeologa e, durante non so bene quali scavi in Persia si è imbattuta in un misterioso quanto affascinate manoscritto. Decifrarlo era l’occasione e la sfida della sua vita, ma le ci sarebbero voluti anni. Così, chiese a mio padre di raggiungerla insieme a me. Lui rifiutò e io restai con lui a casa, dove avrei potuto ricevere una educazione appropriata.
Gli uomini hanno una memoria sentimentale un po’ corta e si lasciano facilmente obnubilare dalla solitudine e dalla autocommiserazione. Parlando in generale, preciso per non offendere nessuno. Così dopo un po’, papà incontrò Matrigna e decisero di vivere insieme, con le sorellastre al seguito. Credo che mamma fosse così immersa nel suo mondo che a malapena ricordò di firmare le carte del divorzio. Ma ero piccola, non so come andarono davvero le cose.
Fu in quel periodo che mi diedero il soprannome di Cenerentola. Non perché mi avevano espulso dalla famiglia ‘buona’, ma per il mio invincibile entusiasmo per camini, comignoli e caminetti. Avrebbero potuto chiamarmi -chessò- Babbo Natale. O Spazzacamino. Ma Matrigna trovò entrambi insoddisfacenti. E così diventai Cenerentola. A me, importava ben poco come mi chiamavano. L’importante era che potessi continuare a esplorare in giro senza troppi controlli. In quel periodo, mi appassionai anche agli animali. Non solo gatti e cani, ma i topini della soffitta e gli uccellini del giardino. Il cavallo nel maneggio vicino. Ne studiavo i comportamenti e cercavo di ammaestrarli. Anche con buoni risultati. Ma, suvvia, non penserete davvero che mi aiutassero nelle faccende domestiche o a preparare il vestito per il famoso ballo! Mai imparato a occuparmi della casa né a cucire, a proposito. Quella appassionata di moda e porcellane era Anastasia, mentre Genoveffa adorava lo sport, da protagonista e da spettatrice. A nessuna piaceva occuparsi di pulire e tenere in ordine. Ammetto, le sorelle ci provavano sempre, a scaricare su di me, che ero la più piccola. Ma, altro che soffitta e lacrime impotenti. Altro che remissiva bontà. Pretendevo che tutte facessimo la nostra parte. E Matrigna era abbastanza attenta su questo punto.
Dopo qualche anno di questa vita un po’ scombinata, ma decisamente piacevole, quando io avevo appena cominciato le scuole superiori e le sorelle erano all’università, papà decise che ne aveva abbastanza della confusione di città e si trasferì in riva al mare. Una volta che ero lì in vacanza incontrai anche la Sirenetta, ma con lei non abbiamo mai legato. Forse la differenza di età, forse ambienti culturali troppo distanti. Non saprei. So che oggi ha trovato il modo di far convivere coda e piedi ed è diventata una famosa oceanografa. Ne sono lieta, però, diciamolo, era facilitata fin dall’inizio.
E veniamo al rapporto con le mie sorelle. Anastasia e Genoveffa erano, appunto, sorelle. Litigavamo, certo. E pure con tutti i sentimenti. Ma erano ‘alleanze variabili’. Non erano sempre coalizzate contro di me. Ci capita anche oggi di discutere animatamente di tanto in tanto. Il giudizio su questo o quel leader mondiale, per esempio, spesso non ci trova unanimi. E il tifo. Su quello davvero facciamo scintille. Ma la passione è un ingrediente fondamentale della vita e, tenuta nei debiti confini, ci piace alimentarla.
Ammetto che Principe azzurro è stato -ed è ancora- il mio grande amore. Sono passati tanti anni, dalla sera del ballo, ma siamo ancora uniti come il primo giorno. Il segreto? Rispetto reciproco e … aria… ognuno di noi ha la sua vita: amicizie in comune, ma anche indipendenti, interessi lo stesso. Abbiamo sempre cose nuove da dirci perché viviamo vite ricche e autonome.
È cominciata proprio così. La sera del ballo, dico. Io sono andata da sola perché avevo fatto tardi a un seminario. Matrigna e le sorelle erano già pronte e non avevano voglia di aspettarmi. Io non avevo nemmeno pensato a cosa mettermi per quella festa. Nemmeno la consideravo troppo speciale. Una di quelle serate mondane organizzate dai genitori. Ero sul punto di dare forfait, se non fosse stato per l’allarme di una casa vicina che mi infilzava il cervello. “Vado – mi sono detta- o impazzisco”.
La favolosa zucca che mi trasportò era quasi una zucca: il mio inconfondibile motorino arancione. Capisco che la leggenda l’abbia trasformato in zucca, gli assomigliava parecchio.
Arrivo e non conoscevo nessuno. La mia famiglia scomparsa in chissà quale meandro del giardino. E a un tratto, mi si presenta questo tizio, vestito in modo improbabile. Sembrava un militare da operetta, con quei colori e le mostrine. Attacca bottone e io, li per li, rispondo distrattamente. Ma poi, chissà come, la sua conversazione diventa piacevole: si mette a parlare di rospi -autobiografico? Qualcuna l’aveva baciato prima? Non ho mai voluto saperlo-, racconta di viaggi nei posti lontani dove avrei desiderato andare anche io. E, strano a dirsi, mi ascolta. Trova interessante quello che ho da dire, risponde a tono e mi fa ridere. Mai provato niente di simile. Dopo un po’, mi sono letteralmente impanicata. Non volevo essere coinvolta. Non mi piaceva il fatto che mi piacesse il suo sguardo. E sono scappata. Se fosse mezzanotte, davvero non saprei. Ho inforcato il motorino e nella foga ho perso una scarpa. Non di cristallo, santo cielo. Non diciamo sciocchezze. Era un normalissimo sandalo da sera, un po’ di strass e un tocco d’argento. Comunque mi era dispiaciuto, non sono scarpe che metti tutti i giorni e ricomprarle mi scocciava un po’.
Figura da sciocca, ho pensato e me lo sono tenuta per me. Non pensavo certo all’amore in quella fase. Argomento chiuso.
Ma lo zuccone era più zuccone del previsto. Con la (debole) scusa di restituirmi la scarpa, cominciò a spulciare la lista delle invitate per capire chi fossi. Io sospetto che l’abbia fatto fare a qualcuno per lui, ma anche questo è un argomento che non ho mai approfondito.
Come sia, un giorno me lo trovo alla porta. Con il sandalo. Entrambi tirati a lucido. Sandalo e principle, intendo. Confesso il tuffo al cuore. E anche che da quel momento abbiamo vissuto le nostre avventure in sintonia. E vissero felici e contenti, allora? Alti e bassi, siamo sinceri. Scoprire che era un principe, per esempio, non è stato divertente. Tutti quegli obblighi di etichetta, i salamelecchi, quei “si può fare – non si può fare”. Meno male che con il tempo si è sciolto un po’. E ha capito che in certe occasioni, meglio lasciarmi fuori. Con le mie amiche e talvolta le sorelle.
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