Mi hanno guardato con esasperata sorpresa -mista a compatimento- le mie due gatte quando mi hanno visto pronta per la strada. “Santo cielo, ma dove va questa qui, di domenica alle otto e mezzo mattina, con un tempo senza colore”. Le loro vibrazioni da ziette apprensive non mi hanno fermato. E dunque, musica in canna e circondata dal grigio, eccomi a Ostia per un breve trekking nella pineta di Castelfusano. Be’, proprio trekking magari no. Più una passeggiata.
Ammetto che in questa celebre pineta non ero mai stata. Per tradizione, gravito verso Fregene e le successive possibilità dell’Aurelia.
Stavolta, ho cambiato itinerario. E genere. Per eccezione, mi sono aggregata a un gruppo di trekking. Una sorta di esperimento su me stessa. Praticare socialità e tolleranza non è impresa da poco. Bilancio a metà: non ho ascoltato musica estraniante, ma nemmeno sono tornata con nuove amicizie. A fine giornata, ho rassicurato le gatte: tutti indenni, se non soddisfatti. Anzi, tutte. Perché, curiosamente, dell’eterogenea -e ristretta-compagnia facevano parte solo donne. Di ogni età e stile. Sole, in coppia o in gruppetti, ma nessun uomo si è incuriosito abbastanza da fare una giravolta di 8 km nel bosco. Poco male.
L’escursione è piana. Camminare in compagnia fa sempre piacere. La natura, diciamo la verità, non si è sforzata molto in questa zona. Il silenzio è privo perfino degli uccelli. I colori sono soffocati dal grigio e pure i verdi sono appannati. Forse la stagione, ma, a dirla tutta, Villa Ada stupisce molto meglio.
Però, grazie alla simpaticissima e bravissima guida, Melinda, ho imparato alcune cosette. Il bosco nasce da rovi e pinoli, per esempio. Oppure la differenza tra pino marittimo, con i rami a 90 gradi, il pino domestico che invece li slancia verso il cielo e il pino d’Aleppo, invece, al quale i tronchi nudi non piacciono e quindi li veste di rami fin da terra.
.“Ehi, ma lo sai che io mi mimetizzo? Dopo un incendio, mi avvolgo di cenere e me ne sto al calduccio finché non arriva il momento di germogliare. Perché, sai, dopo il fuoco il cibo scarseggia e gli animali vorrebbero mangiarmi. Ma no, io devo ricominciare la pineta, non è compito da poco. Mi devo nascondere fino al momento giusto”, mi ha confidato un pinolo d’Aleppo, molto compreso nella sua parte. Non sapeva che sarebbe finito ad alimentare i guadagni della famiglia Sacchetti (quella della pineta, appunto), dedita alla coltivazione intensiva dei pini proprio per venderne i frutti.
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