Roma, una strada qualunque. Un taxi si ferma in doppia fila, bloccando il traffico. Con calma olimpica, il conducente si prende il suo tempo per far pagare il cliente, scende, tira fuori una valigia dal dal portabagagli. Nessuno strombazza. L’auto dietro aspetta. Io a fianco in motorino. Lui butta un’occhiata alla macchina in attesa e dice: “guarda che ci passi”. L’altro scuote la testa, facendo segno che preferisce aspettare. Effettivamente ci sarebbe passato – forse- di strettissima misura. Il tassista lo guarda e urla a freddo: “comprate ‘na macchina più piccola se non sei capace”. Sbatte la portiera e sgomma via. Non “scusi”, non “vado via subito”, nemmeno un silenzio vagamente colpevole. No, un morso figurato del tutto gratuito.
Il Paese che non voglio
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