Teresa Bellanova incarna l’emblema di chi ce l’ha fatta. Da sola e senza scorciatoie. Anzi, con qualche handicap sociale e culturale. Non viene da una famiglia agiata e fornita di conoscenze. Non ha avuto borse di studio. Ha cominciato a lavorare molto giovane, appena possibile. Bracciante agricola, primo gradino. Eppure, adesso eccola lì, ministro. Ovvio che il successo sia accompagnato dall’invidia e dagli insulti degli odiatori di professione. Dei quali, mi domando, quanti siano in possesso di una laurea o giù di lì. Brucia a chi non è soddisfatto di sè non avere scusanti: l’esempio di Teresa Bellanova, intrepida nel suo abito azzurro genziana, a ricordare che se sei bravo e ce la metti tutta puoi arrivare lassù in alto, anche al Colle maggiore per servire il Paese fin dove si può. E a rispondere con garbo alle critiche insulse quante volgari. Il fatto che sia una donna a marcare il successo evidentemente spinge a rincarare la dose delle infamie. Alzare la testa solo per meriti non è accettabile. Almeno non lo era fino al giorno d’oggi. E poiché costoro nulla sanno del lavoro della ministra, l’unica strada percorribile è quella dell‘insulto banale, basato sul l’apparenza e l’appartenenza a categorie -donna, terza media, aspetto normale- facilmente attaccabile per stereotipi. Senza riflettere che ‘donna, terza media, aspetto normale’ devono essere al contrario elementi di giudizio favorevole perché sottolineano proprio le capacità dell’individuo. È magra? È grassa? Si veste bene o male? Suvvia, queste cose possono interessare al massimo la sua famiglia e i suoi amici. Noi dobbiamo solo chiederci se e brava e se farà gli interessi del Paese, segnatamente nel campo dell’agricoltura.
Non conosco la ministra di persona. Con lei ho avuto un fugace contatto qualche anno fa, quando era sottosegretario, per una vertenza sindacale, un problema nel mondo dell’editoria, e in quel caso ho avuto modo di apprezzarne la concretezza pacata e senza venature inutilmente accattivanti. Capire il problema, cercare soluzioni possibili, questo l’approccio.
Al di là del caso specifico, penso che sia tempo di sfiammare il paese. Bisogna lasciarsi alle spalle il linguaggio violento e divisivo. Gettare fango senza motivo dovrebbe diventare un comportamento socialmente riprovevole, perché, ormai sembra chiaro, le campagne elettorali volgari non sono alle viste e sarebbe meglio impostare i confronti su fatti e, perché no, idee. Il pubblico ludibrio, la gogna per i nemici e, ancora di più, le nemiche andrebbero al più presto sostituiti con confronti argomentati, magari con una certa conoscenza dei temi. Solo così si può far scendere la febbre rabbiosa che ha inquinato aria e acqua negli ultimi mesi, recuperando quel tanto di lucidità molto utile per trovare effettive soluzioni. Favorendo così la stabilità e la ripresa dell’economia. Compattare consensi ‘contro’, abbiamo visto, giova nell’immediato e solo se non si deve arrivare a rendere conto dei risultati reali. La caccia alle streghe, che poi possiamo identificare genericamente il diverso, il nuovo, la conoscenza, il debole, deve finire. Segnali di pace come il ritorno di Mimmo Lucano a Riace, l’arrivo della sobria Luciana Lamorgese al Viminale, la nomina a ministro di Bellanova speriamo siano i primi pezzi di un nuovo quadro, nel quale trovino spazio i meriti e le competenze piuttosto che urla sguaiate, discriminazioni e aggressività. Sono persone così il tessuto connettivo del paese, persone che si rimboccano le maniche e lavorano con competenza e senso dello stato, senza mettersi in maschera per generare false appartenenze.
Con loro, potremo ritrovare ascolto e autorevolezza nel consesso europeo. Perché immaginare l’Italia senza o al di fuori dell’Unione Europea non ha senso, ci condanna all’irrilevanza e alla povertà economica e culturale. Abbassiamo i toni, rispettiamo istituzioni e valori, fidiamoci della competenza. Tornare umani si può.
Hits: 108