Isla Isabela è il posto più lontano dall’Italia dove sono mai stata. Più lontano di Sumatra, più lontano del Vietnam. Così lontano che non ci arrivano nemmeno le zanzare. Magari le formiche urticanti che te le fanno rimpiangere, magari i mosquitos che ti fanno venire ponfi extralarge, ma zanzare no.
Isabela, come la chiamano confidenzialmente, è lava e polvere, correnti violente e pozze placide circondate da mangrovie e abitate da leoni marini e pinguini. È povertà sostenibile, ricchezza naturale per la quale i suoi abitanti sembrano disposti a rinunciare al superfluo. Questo è quello che mi piace pensare sulla base degli occhi, ma chissà quale è la verità. Meglio non scavare. E comunque non c’è il tempo. Ce lo vedi Peter Pan stabilire qui la sua Isola che non c’è. Ed è facile immaginare pirati d’altri tempi cercare rifugio e ristoro nelle baie nascoste tra gli scogli aguzzi.
Ancora più che nelle altre isole che ho visitato, qui le persone convivono in maniera stabile con gli animali. E gli animali tra loro. Una specie di Libro della giungla aperto sulla realtà. Ci ho passato solo due giorni e dunque è ovvio che sono solo impressioni. E tuttavia. Nuotare tra i sea lions a Concha Perla, una baia blu abbracciata dalle mangrovie, la raccomando come esperienza di condivisione.
La sottintesa complicità tra iguane, leoni marini, pinguini, granchi, pellicani e altri uccelletti che non so identificare è innegabile.
Le iguane marine di questa isola sono nere, o meno grigio carbone. Nell’isola poco lontano, Espagnola, sono invece tigrate, ma io non le ho viste se non in foto. Ce ne sono di tutte le dimensioni e si fanno la propria vita senza complessi rispetto agli umani. Queste iguane si nutrono in mare e possono arrivare a 30 metri di profondità per cercare il piatto preferito. Certo, l’acqua è fredda e al ritorno si stendono ore e ore ad asciugare. Quando poi la pelle è cotta dal sole, si strofinano sulle rocce e con una specie di scrub naturale si rimettono a nuovo.
Nessuna rivalità con sea lions o granchi. Si passano accanto, si guardano, si sfiorano senza incidenti. Con saggezza primordiale sembrano suggerire che, suvvia, c’è posto per tutte le diversità in questo pianeta.
La giornata è stata fortunata perché il freddo dell’oceano ha spinto tutti i pesci sotto costa.
I Tunnel sarebbero la principale attrazione: si presentano come una specie di canale di Panama, ma naturali, costruiti dalla lava e arredati da flora e fauna nel massimo spolvero, nei quali ci si infila con la barca. Però, quel giorno le onde facevano spavento, altissime e minacciose. Troppo pericoloso, ha avvertito il capitano, guarnendo la storia con un fantomatico terremoto di cui nessun altro ha mai saputo nulla. Ma comunque, anche senza la balla del terremoto non mi ci sarei avventurata volentieri. Per consolarci si è fatta vedere una manta rey, bianca, nera e rara, larga circa 8 metri con l’apertura della coda a 3 metri. Si dondolava in mezzo al nulla, tra le onde con la coda all’insù e il resto del corpo visibile sotto la superficie. Uno spettacolo. E che dire dello snorkelling? Ho nuotato tra gli squali. Sì, proprio io. Siamo scesi in una acqua gelida che nessuna muta in affitto può tenere a bada. Come le iguane di cui sopra. Alla fine avevo le mani blu e ho tremato una mezz’ora. Ma quello che c’è lì sotto mi ha strappato risate di entusiasmo trattenute solo dal boccaglio.
Intorno nuotavano tartarughe grandi come una Smart. Preistoriche e assenti, strappavano alghe dal fondo, una passeggiata tra le rocce, un’occhiata al cielo per vedere che tempo fa e prendere una boccata d’acqua. Lente e maestose, ma capaci di inaspettate accelerazioni. Lo so, le abbiamo viste mille volte nei documentari. Ma trovarcisi in mezzo, che emozione è? Se non bastasse, ci sono branchi di pesci vari, come i pesci martello o i pesci paradiso, blu e rosa. E le mante dorate che scivolano tutte insieme come in un cartone di Walt Disney, mescolate a quelle puntinate e a uno strano tipo che sembra un uccello bianco e nero con una specie di coda lunghissima fina fina. Certo, non sono descrizioni scientifiche, mi rendo conto, ma per quelle c’è la ditta Angela, Piero e Alberto e i loro epigoni. o magari il mio amico Alberto Luca Recchi. E, dicevo, gli squali. I primi che ho visto erano piccolini, come cuccioli con denti da latte. Ma poi, a un certo punto, me ne sono trovata davanti un paio enormi, molto più lunghi di me. Sembravano dormire sotto le radici di mangrovia, del tutto indifferenti a quello strano branco di esseri viventi con muta, maschere e pinne. Ammetto, un po’ il cuore mi è arrivato in gola, tra eccitazione e paura. Non riuscivo ad andare via, però. Solo il freddo mi ha stanato.
Nella mia fascinazione per il vagabondare a pelo d’acqua, ho dimenticato i blue footed boobies, uccelli normalissimi che però hanno i piedi turchesi, ma proprio turchesi. Non sono ovunque come i sea lions, si tengono a distanza dalla vita sociale mista con altre specie. Forse sono consapevoli di essere uno dei simboli delle Galapagos e ci tengono a marcare il rango. In ogni caso, le loro zampe palmate sono di sorprendente color cartone animato. sintuffano a picco in mare e pescano. O ri-pescano dalla bocca dei sea lions.
Non c’è una conclusione per questa storia, se non la speranza che il futuro sia rispettoso e consapevole e non cannibalizzi se stesso.
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