Tra i progetti seguiti durante le mie tre settimane come volontaria a San Cristobal, isola di media dimensione alle Galapagos, il più importante è senz’altro quello che riguarda le tartarughe di terra. I volontari vi dedicano tre mattine alla settimana e parecchie energie fisiche. Nonché tutti gli abiti indossati che alla fine risultano totalmente inservibili. Il servizio si svolge alla Gualapagueira, struttura in cima alla montagna assai visitata dai turisti e dai gruppi (piccoli) di escursionisti da crociera. Tuttavia non sono dannosi e non disturbano eccessivamente.
Il lavoro quotidiano consiste nel nutrire le cosiddette bestiole, che vanno da una dimensione minima di pochi centimetri per quelle nate da un anno a oltre un metro e 130 kg per le grandi centenarie.
La parte più faticosa è procurarsi il cibo. Le 55 tartarughe grandi di qui vivono sparpagliate nella riserva, ma hanno una specie di mensa dove si precipitano (si fa per dire) quando sentono il profumo di insalata. Il loro cibo di base sono le foglie di otoy, dette anche orecchie di elefante, per le grandi dimensioni.
Queste foglie vanno servite fresche e quindi raccolte ogni volta in posti sempre più scoscesi e distanti dagli insediamenti umani. Perché le tartarughe mangiano più velocemente della ricrescita delle piante. E ogni volta ce ne vogliono circa 300 kg. Dunque, si parte all’alba con il furgone aperto dietro dove caricare i fasci di otoy. La cosa divertente è che si fa con un taxi, guidato Joanna, impavida ed espertissima driver di fiducia dell’organizzazione.
Sebbene stiano cercando di organizzare vere e proprie piantagioni di otoy, per ora si sceglie sempre un posto diverso per non disboscare troppo una singola zona, ma si deve andare sempre più lontano e spesso si scende verso paludi e torrenti dove ci si può inzaccherare fino alle ginocchia e far banchettare ben bene ragni, insetti e mosquitoes. Fortunatamente alle Galapagos animaletti davvero cattivi non ne vivono e così ce la si cava con qualche ponfo e molto prurito. Nulla di definitivo.
Gli otoy si raccolgono a colpi di machete, la parte più divertente. Meno lo è trasportarli sulla spalla legati in pile di 25-30 chili per centinaia di metri anche in salita. Però ammetto che c’è un che di eroico in questa parte. Ci sentiamo tutti Rambo.
Arrivati alla Gualapagueira, gli otoy vengono smistati: i più teneri, sminuzzati a coltello, alle tartarughe baby, le grandi foglie con le radici nelle “mense” per adulti. Qui si assiste a scene preistoriche. Perché questi bestioni sono assai aggressivi sul cibo e si attaccano a vicenda apparentemente senza motivo, visto che di verdura ce n’è in abbondanza. Sono veri e propri duelli, con suoni aspirati che ricordano Dart Fener in Guerre stellari. Le teste si tendono fuori del carapace, gli occhietti restano inespressivi, ma le bocche si spalancano e si fronteggiano, finché una delle due non si ritira nel guscio, brontolando. E l’altra azzanna il boccone conteso. Alla vista non c’è un motivo per preferire una foglia rispetto a un’altra, ma sicuramente ci sarà per il loro palato. O forse, chissà, per il loro ego dominante.
Durante il periodo in cui sono stata io, abbiamo anche cercato e pesato tutte le 55 “bestiole” che vivono libere nella foresta composta prevalentemente di mazanillo, albero velenosissimo che ho incontrato anche in Barbados. Li, però, ognuno è recintanto e circondato da cartelli che avvertono del pericolo anche mortale. Mentre qui, dopo un annoiato “attento, è velenoso”, ti ci portano in mezzo facendosi strada a colpi di machete per scovare le tartarughe da censire.
Certo, perché se la maggior parte si trova all‘ora del pasto alla cosiddetta mensa, alcune si imboscano (niente di più letterale) e vanno ricercate. Operazione che è durata parecchi giorni per essere completata. Il metodo non è proprio scientifico e forse si potrebbe affinare. Anche perché questa caccia si ripete ogni sei mesi. Ogni tartaruga, assai recalcitrante, viene misurata (lunghezza e larghezza del carapace sia sopra che sulla pancia) e infine pesata con una bilancia-gancio di quelle usate per le valigie.
E, come è chiaro a tutti, per sollevare i bestioni ci vogliono volontari forzuti. Non lo posso mica fare io. Sono operazioni non difficili, ma complicate dal fatto che non si possono effettuare davanti ai turisti, che per nessuna ragione al mondo devono scattare foto. Quindi, servizio d’ordine tartaruga per tartaruga. In effetti, io le foto le ho fatte e sono qui sotto, ma non sono sicurissima che sia permesso nemmeno ai volontari. Ma questo è.
Per assicurarsi di non avere doppioni e che qualcuna sfugga alla statistica, si mette una piccola croce bianca sul carapace. Le tartarughe sono tutte microchippate, ma non sembra essere ritenuto un sistema così affidabile come la carta e la penna, quindi ci sono due sistemi di censimento. anche in questo caso, forse si può razionalizzare.
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