Te ne innamori a prima vista. Sono buffi e simpatici, amichevoli senza essere invadenti, languidi e scattanti, goffi e sinuosi. I leoni marini sono sicuri di sé e del loro posto nel mondo. La prima impressione che trasmettono è quella di essere a proprio agio. Sono colonie di una ottantatina di individui ciascuna, più o meno, quelle che vivono sparpagliate sulle spiagge di San Cristobal. C’è il maschio alfa che detiene lo scettro della comunità in virtù della stazza e di un certo bozzo in fronte che lo rende capo incontrastato. Poi ci sono i maschi sottomessi, che sono sempre belli grossi e non sembrano affatto desiderosi di salire la scala sociale. Se ne stanno spaparanzati qua e là con i loro baffoni al vento, senza porsi troppe domande. Come le femmine, riconoscibilissime dagli occhioni dolci e il muso sfinato. Hanno sempre intorno la prole, cuccioli e adolescenti (si chiamano juvenal, ma la traduzione qual è? Lo stadio della vita è quello, il sesso ancora indistinto). Dormono parecchio tutti quanti all’ombra degli alberi a riva o incuneati tra gli scogli, mimetizzati nella risacca. Ma puoi trovarli anche di traverso sulla strada o sulle vie di accesso, sulle panchine, sotto i monumenti.
Degli umani non si curano, li ignorano come se fossero parte del paesaggio. Non familiarizzano, non cercano cibo, ma nemmeno sono spaventati o aggressivi. Si vivono intorno. Finalmente sereni dopo anni e anni passati a sfuggire ai predatori umani che venivano su queste isole a caccia di sea lions per farne olio da bruciare. Una pratica che l’elettricità ha mandato per fortuna in disuso.
Più difficile, raccontano qui, è stato stroncare la consuetudine di uccidere gli esemplari adulti per estrarre i loro quattro incisivi, lunghi come piccole zanne, e come per l‘avorio, materiale pregiato per farne gioielli. Ormai però queste brutture sono alle spalle e i leoni marini sono liberi di vivere una vita senza stress. Almeno quelli dovuti al contatto con gli uomini.
Alcuni di loro viaggiano anche per le altre isole. Sono miglia e miglia, due ore con la barca veloce che certo loro non hanno. Prendono il mare i maschi alfa perché il detto due galli in pollaio vale anche loro, oppure che perché spinti dalle citazione della pesca si trovano a mezza via e continuano. Oppure se manca cibo. Più maschi che femmine affrontano il lungo raggio. Le femmine e i piccoli girovagano per lo più tra le spiagge della stessa isola. A monitorare gli spostamenti delle targhette di diverso colore a seconda dell’isola di provenienza poste sotto le pinne.
Il “duro” lavoro del volontario è contarli. Muniti di schede, ci aggiriamo sulla spiaggia, la mattina alle cinque e nel tardo pomeriggio, per censire la popolazione e monitorare il comportamento: dormono, mangiano, allattano, nuotano, hanno ferite o malattie. Per la verità, la maggior parte di loro si gode le Galapagos come farebbe chiunque. Spiaggia, bagni, un po’ di pesce fresco, il piacere della reciproca compagnia.
A me hanno fatto una gran simpatia istintiva. L’andatura barcollante trasmette allegria, l’espressione del muso é decisamente sorridente. Ti seguono talvolta con lo sguardo ozioso, imponendo con disinvoltura al loro corpo ovale posizioni esilaranti. Con le pinne possono abbracciate e carezzare. Nati per nuotare, a quel che ho visto io, lo fanno con grande parsimonia, preferendo le mollezze della spiaggia ai piaceri dello sport. Animali belli e sereni, si fanno voler bene.
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