Solo poche ore, ma ci siamo tanto amati. Un feeling immediato tra noi. Intanto la posizione, sdraiata tra i vulcani, tutti attivi, alcuni così alti da superare i 4000 metri. Sono salita sul Pichincha dove è stato costruito El TeleferiQo, funivia lunga oltre 2500m per sorvegliare Cruz Loma. È uno degli ascensori aerei più alti del mondo e devo dire che si sente. Arrivata in cima, ci vogliono circa 20 minuti, mi sentivo mancare il fiato. Certo, emozionante, ma credo che in parte l’altezza si si sia mischiata. Passa subito, però, per lo splendido sguardo su una città in parte coloniale, in parte modernissima. Pulita. Devo dire che l’aria un po’ rarefatta fa miracoli.
Facendo un giro a piedi, le cose che colpiscono al volo sono parecchie. Intanto, in paragone con le Galapagos, in città curiosamente c’è più colore locale. Intendo, c’è gente che si veste alla ’andina’. Insomma, con i cappelli e i vestiti colorati che, almeno io, abbino alle Ande. E in pieno centro non te lo aspetti. Vanno a lavorare e a farsi i fatti loro così.
Per certi versi, ci si trova immersi nel recente passato. Più o meno negli anni 50. Qui abbondano mestieri obsoleti altrove, come i lustrascarpe (gettonatissimi), i venditori di bibite e altro fantasioso cibo da strada, ci sono botteghe che restaurano esclusivamente immagini e statue sacre, altre che estendono l’attività a un generico ’ogni cosa’, moderni aggiustatutto.
Ho incontrato vetrine che espongono lacci da scarpe e chiusure lampo di ogni colore e lunghezza, merci ormai rarissime in Occidente.
Un giro tra i palazzi coloniali mostra bei restauri e sussurra nostalgici racconti di altre epoche popolate di bellezze more, uniformi e crinoline, duelli e sorrisi dietro ai ventagli. Sono entrata nella Iglesia di San Francisco, una delle più grandi. Sorveglia la città dall’alto, con una apparenza maestosa, ma composta.
Dentro invece si scatena: non c’è un minimo spazio che non sia decorato d’oro e d’argento, inframezzati di statue, sculture, dipinti e altre manifestazioni dell’arte barocca. Un guazzabuglio sacro. La devozione è profonda, ho visto parecchie persone entrare solo per momento, un salutino al santo di riferimento, l’augurio di una buona giornata. Cose di una Italia lontana, quasi solamente letta sui libri.
Quito non è grandissima, un paio di milioni di abitanti convenuti a oltre 2500 metri di altezza, le strade scalano le montagne, poche sono in pianura. Quanto larghe e moderne sono quelle che abbracciano la città da fuori, quanto in centro sono piccoline e dopo le 10 di mattina super trafficate. Blocchi di decine di minuti senza apparente ragione, stimolati dal nervoso picchiettare di bus e automobilisti sul clacson. Non che ciò ottenga alcun risultato, ma deve essere l’antistress locale.
In compenso i taxi costano praticamente nulla, se lo chiedi ti aspettano anche. A me e capitato uno gentilissimo che aveva il figlio quattrenne a bordo e in pratica me lo sono spupazzato io tutto il tempo, lui e il suo tablet con il quale mi faceva foto e video oppure strapazzava con questi video giochi a sua misura. Dopo un minuto che ero salita, ha scavalcato la barriera professionale (a lui ovviamente invisibile) tra davanti e dietro del taxi, mi si è piazzato in braccio e chi si è visto si è visto.
Il padre, in cambio, mi ha chiuso ermeticamente porte e finestrini, preoccupato che qualcuno potesse rubarmi il cellulare anche da dentro la borsa a tracolla e anche con il vetro socchiuso di un paio di centimetri. Premuroso. Però il caldo e il pupo insieme sono stati una miscela un po’ soffocante.
Con lui -loro, in realtà – sono andata anche al mercato artigianale dove ho scoperto che i prezzi delle Galapagos sono almeno tripli rispetto alla mainland.
Si deve contrattare strenuamente su tutto. Nei piccoli negozi non hanno nemmeno il cambio di venti dollari e, tutto sommato, ti si stringe un po’ il cuore a negargli un dollaro, che già di suo, ora come ora, è parente quasi povero dell’euro. Le offerte a dir poco allettanti instono per farsi apprezzare e ho finito per comprare cose parecchio inutili che non so come si troveranno a Roma. Pazienza, è la maledizione del viaggiatore compulsivo.
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