Sono undici ore da Madrid, alle quali vanno aggiunte le due da Roma, per arrivare a Quito. Non proprio una passeggiatina.
La mia vicina di volo conosce il pilota, che le ha inviato delle olive in omaggio. Così alla prima turbolenza che ci ha sballottati ben bene c’era almeno la consolazione di sapere che dovremmo essere in buone mani. Anche se, a ben pensare, la mia compagna di viaggio chi la conosce? Perché dovrebbe fornire affidabili referenze?
L’inizio del balzo sull’Atlantico è sempre emozionante. Dopo maciniamo nuvolette che si arricciano sull’oceano, talvolta un’isola irregolare interrompe il blu.
Verso la fine del viaggio l’Equador mostra il volto vulcanico, con montagne che si alzano dritte sui fianchi. Dall’alto fanno un po’ l’effetto di castelli di sabbia sulla spiaggia, ma spruzzati di neve e di verde.
C’è il tempo di pensare un po’ a tutto, le ore si ammonticchiano, sullo schermo la linea gialla della tratta dietro le spalle si allunga fino alle 5400 miglia richieste tra Madrid e Quito, fino a un atterraggio stretto dalle montagne.
L’aria di Quito è fina, come si deve a 2.800 metri di quota, la luce ricorda la montagna, fa quel caldo che scotta ma capisci che precipiterà insieme al sole. E, in effetti, così è.
In aeroporto trovo ad aspettarmi Sandra Duchi. Il nome fa pensare a una italiana, ma ovviamente lei é equadoregna al vento per cento e non parla una parola di inglese. Dunque la conversazione assume da subito i debiti contorni primari, conditi di gesti e risate assai facili vista la qualità del mio spagnolo.
Come prepara la cena non lo voglio vedere però. La mangio e basta. Ed è anche buona, la famiglia super cordiale sebbene priva di qualunque strumento per comunicare. Sono curiosi, mi bombardano di domande in spagnolo rigorosamente non contaminato da altre lingue. si passa da “quanto vale un euro rispetto al dollaro” allo scambio di ricette alla lista dei paesi che ho visitato. Alle 8.30 local time, che sarebbero le tre di notte per il mio corpo, mi sottraggo e me ne vado a dormire, cullata da uno specie di ruscello che scorre battagliero qui sotto.
Sandra mi porta a fare la spesa per la cena, passiamo in pescheria (foto esplicative) e in frutteria. Lei ha tre figli, il piccolino di due anni, i grandi sfiorano i venti, e se la cava un po’ come può. Abita in un barrio e la sua casa ha luci ed ombre, almeno si è appena venati di snobismo. Lei ha entusiasmo e sorriso.
Una cosa però stavolta l’ho decisa: basta assorbire tutto proprio tutto lo spirito locale. Basta farsi carico e dire che questi dollari per loro sono una bella svolta e eticamente é la cosa corretta da fare.
Al ritorno prenoto un hotel al centro di Quito e tanti saluti.
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