Così, dopo tanti anni riprendo in mano il filo di Filippo Cordova. Su di lui ho scritto la mia tesi di laurea. Di tanto in tanto vado a visitarne il busto al Pincio. Due chiacchiere infirmali. Ma, insomma, nella vita non è stato il mio primo pensiero. Riaffiora quando incontro qualcuno che sa di Risorgimento e spiego un po’ di questo avo geniale e misconosciuto, carattere focoso, rivoluzionario pragmatico fino a diventare moderato, fondatore dell’Istat e mentore di Quintino Sella che volle accanto a sè e che trasformò da giovane geologo in Quintino Sella quello di cui si studia a scuola..
Un rivoluzionario di governo, Filippo Cordova. Stroncato da un infarto, incendiato da un temperamento niente affatto malleabile e denso di passioni ideali. Morí a Firenze nel 1868, appena 57 anni, proprio mentre saliva le scale del Parlamento per presentare la Relazione finale della Commissione (che portava il suo nome) sull’abolizione del corso forzoso della lira. La lesse poi Quintino Sella, quella relazione, e da lì iniziò la carriera politica raccogliendo il testimone del mio avo.
E sabato 13 aprile 2019 un po’ di noi discendenti ci siamo ritrovati al Cimitero delle Porte Sante, a San Miniato al Monte, per la conclusione del restauro della tomba di Filippo Cordova, incluso il busto scolpito da tao Giuseppe Fratallone, allievo di Giovanni Duprè (e questo chiaramente l’ho copiato). Un lavoro lungo e minuzioso, durato almeno tre anni a cura dell’Istituto Spinelli di Firenze.
Una occasione per conoscere di persona rami della famiglia divaricati nel corso del tempo, riallacciare legami sconosciuti e ritrovare un po’ di quelle radici affondate ad Aidone, nel centro della Sicilia montanara, rappresentata in quel giorno dal sindaco Enzo Lacchiana. Ci tornerò, ad Aidone, questa estate a vedere e salutare.
Da Aidone parte anche la storia di Augusto Barbera, costituzionalista giudice della Corte. Ci conosciamo da tempi lontani e con grande stima. Penso che le sue parole, nel messaggio al convegno di Firenze, siano la miglior sintesi della storia di Filippo Cordova come patriota, rivoluzionario, tessitore cavouriano (tessevano insieme, insomma) e poi Ministro dell’Agricoltura, Ministro dell’Industria, Ministro della Giustizia.
“Al Ministro Cordova si deve -scrive tra l’altro Augusto Barbera- tanta parte del processo di unificazione normativa del nuovo Regno. In pochi anni riuscì a uniformare le normative di otto stati, dando un impulso decisivo, tra l’altro, al complesso processo di unificazione monetaria. Di altrettanto rilievo l’apporto dello stesso ai processi di unificazione normativa per la metrica, per la legislazione mineraria, per la disciplina delle Casse di risparmio e dei Monti frumentari. Alla sua azione si deve, tra l’altro, il lavoro preparatorio che avrebbe portato al primo censimento del Regno d’Italia e per cui Egli viene tuttora ricordato come il fondatore della Statistica italiana, e dell’ISTAT in particolare (varato nell’ottobre del 1861). Sempre allo stesso Cordova si deve la prima Carta geologica dell’Italia, la riforma della giustizia amministrativa (messa di recente in rilievo in un ricco volume curato da Guido Melis, Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia.
Ma soprattutto Filippo Cordova ha dato un notevole contributo al Risorgimento siciliano e italiano; prima partecipando attivamente ai moti del 1848 e allo sfortunato governo provvisorio che resse la Sicilia per più di un anno, poi collaborando nel 1860 alla spedizione dei Mille”.
Scrive ancora Barbera nel suo messaggio: “Aspra in quegli anni la divisione fra separatisti e unitari ma Filippo Cordova appartiene a quell’importante parte della classe dirigente siciliana che vide subito nell’Unità italiana il riscatto per la Sicilia e l’inserimento della stessa nella rivoluzione liberale europea; obbiettivo che sarebbe stata frenato, invece, dall’isolamento indipendentista, non a caso caldeggiato da una parte influente dell’aristocrazia fondiaria. La ispirazione liberale del Cordova aveva avuto modo di esprimersi, tra l’altro, anche nel conflitto con la Camera dei Pari, esploso durante il governo rivoluzionario del 1848 presieduto da Ruggero Settimo e che vedeva il Ministro Cordova in una posizione preminente. Il gruppo di aristocratici, di latifondisti ecclesiastici e laici, che, nonostante la rivoluzione , dominava in quella Camera non aveva accettato la legge voluta dal Cordova per la vendita dei beni ecclesiastici e la riforma fondiaria”.
“Ma soprattutto -sono ancora le parole usate da Barbera- aveva capito che Cordova mirava – lo aveva scritto in diverse pubblicazioni – ad abbattere quei vincoli e privilegi feudali che le riforme promosse dal Principe Caracciolo, attuate fra il 1788 e il 1790 , non erano riuscite a smantellare. In particolare mirava a favorire attraverso la abolizione delle Decime e la divisione dei Demani il più ampio accesso “degli industri coloni “ alle terre non coltivate o lasciate al pascolo , il più ampio accesso, quindi, della borghesia terriera produttiva e degli stessi contadini. Una impresa “rivoluzionaria” in linea con le innovazioni di cui era portatrice in tutta Europa la borghesia liberale. La sua cultura antifeudale e liberale non poteva quindi non metterlo in piena sintonia con il Piemonte, attraversato dalle idee modernizzanti delle Rivoluzioni francesi e inglese (allora assai diffuse nei circoli Massonici di cui Cordova sarebbe divenuto Gran Maestro nel 1862 ,succedendo a Costantino Nigra e battendo, sia pure di stretta misura, Giuseppe Garibaldi con 15 voti contro 13 ).
Una posizione inizialmente contraria a quella di Francesco Crispi, indipendentista e repubblicano, solo successivamente deciso nell’appoggiare la monarchia sabauda come unica soluzione realisticamente praticabile per il processo unitario. La celebre affermazione del Crispi “La Monarchia ci unisce la Repubblica ci dividerebbe “ pronunciata nella seduta del novembre 1864 a Palazzo Carignano non fu espressione -secondo una certa vulgata – di volgare trasformismo ma, sia pure in ritardo, l’acquisizione di una convinzione cui invece da tempo era arrivato Filippo Cordova. Al di là delle rivalità fra i due illustri siciliani sono proprio i profili di Cordova e di Crispi che possono contribuire a smentire alcune tesi “revisioniste”- riemerse recentemente – secondo cui il Sud e la Sicilia sarebbero stati oggetto di una conquista piemontese e i meridionali avrebbero passivamente subito tale conquista, pronti a ribellarsi subito dopo, sia con talune insorgenze iniziali , in Sicilia e nel Napoletano, sia con il brigantaggio. La vicenda politica sia di Crispi che di Filippo Cordova può contribuire a smentire queste tesi.
Da parlamentare, Presidente di una Commissione di inchiesta sul corso forzoso, Filippo Cordova cercò di spezzare il circuito “dell’affarismo politico” (lo dice a p.245 dei Discorsi parlamentari) ma la morte lo colse il 16 settembre 1868 sulle scale di Palazzo Vecchio e i lavori di quella Commissione non furono più ripresi. Soltanto dopo lo scandalo della Banca Romana, vent’anni dopo, si sarebbe approvato il progetto di Cordova di una sola Banca di Stato, che Cordova riteneva assai “assai più importante del monopolio dei sali e dei tabacchi” (Discorsi parlamentari, cit., p.257)”, conclude Barbera.
E insomma, scusate se è poco. Soprattutto raccontato da uno studioso come Barbera.
In più, potrei aggiungere che Cordova e Crispi politicamente se le sono date di santa ragione. Uno vicino a Cavour, l’altro rivoluzionario, forse fino ai gesti estremi, ma poi convinto dalla ragion di carriera a più regi consigli, donnaiolo e bigamo. A quanto pare il busto della prima moglie, Rosalia Montmasson, lavandaia francese e unica donna con la camicia rossa, combattente nella spedizione del Mille, sonnecchia in un deposito di Caltagirone accanto a una omologa effigie di Cordova.
Mi ha divertito assai l’intervento di Giuseppe Cardillo, presidente dell’associazione Sicilia-Firenze, che ha parlato proprio dei “fratelli coltelli” Cordova-Crispi, raccontando che il discendente di Crispi si era lamentato con lui della troppo attenzione dedicata a Cordova. Come se i secoli non fossero passati. Ma, d’altra parte, pure a me Crispi non è simpatico a pelle. L’antipatia personale c’è tutta. Mai piaciuto, Crispi. Nemmeno da studentessa. Sta di fatto che i due duellarono per parecchi decenni, senza esclusione di colpi.
Quello che però fa riflettere é lo scontrarsi di idee, mai di interessi personali puri. Sono due visioni della politica a fronteggiarsi negli uomini. Due disegni dell’Italia, per i quali entrambi si battevano. Poi, certo, ci sono i caratteri. Il fattore umano incide sempre. Ma permea sostanziosi credo di ideali. Senza fare raffronti con i giorni d’oggi.
E infine, naturalmente, c’è il capitolo massoneria. Già l’idea che la commemorazione di Filippo Cordova si sia tenuta in una chiesa temo che lo stia facendo rivoltare nella tomba. Ma, d’altra parte, ad omaggiarlo c’era anche Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e qualcosa vorrà pur dire. Io, nella massoneria mi addentro poco assai (sono pur sempre una donna, no?) per cui mi rimetto al giudizio del Grande Oriente medesimo.
Della commemorazione resta tenace il piacere di aver conosciuto altri versi della famiglia, la promessa di tornare ad Aidone per rivedersi, l’interesse risvegliato per quegli anni eroici e valorosi, in cui le vite e le scelte si modellavano sulle visioni, declinate con le singole personalità, ma sempre sulle idee.
l racconto merita una integrazione. Come ho già detto, io sono arrivata tardi e perso dei pezzi della storia. Tra i quali, il contributo, anzi limpulso, dato da Alessandra Mirabella, presidente dell’Archeoclub “Aidone Morgantina” dal 2012 a settembre 2018, all’iniziativa. “La mia campagna di sensibilizzazione -racconta- inizia a marzo 2017 con la denuncia dell’incuria in cui versava la tomba, fra le tante, a varie istituzioni, compresi i Comuni, le Soprintendenze di Aidone e Firenze e perfino il Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Contemporaneamente, considerato che Cordova fu Gran Maestro del Grande Oriente d’ Italia, ho inoltrato lo stesso appello al GOI”.
Dai e dai, Mirabella riesce a fare breccia a novembre 2017, ecco la bella notizia che, proprio grazie ai suoi sforzi, la scalcinatissima tomba il era stata inserita fra i monumenti segnalati alle scuole di restauro convenzionate con il Comune di Firenze. “A questo punto -prosegue il suo racconto- ho messo in contatto la scuola di restauro “Istituto Spinelli di Firenze” incaricata dal Comune di Firenze e il GOI disposto a considerare la possibilità di un contributo”. Naturalmente l’happy end prevede decine di mail, telefonate, documenti, riscontri, cavilli e codicilli. Ma funziona. E io coronamento é stato il 13 aprile. Chiosa Enzo Lacchiana, sindaco di Aidone: “Diamo merito a chi ha realizzato il restauro del monumento, ma soprattutto a chi si è prodigato per il restauro, in questo caso l’Archeoclub di Aidone con Alessandra Mirabella. Anche il nostro Comune, attraverso l’assessorato alla Cultura, si è prodigato per il nostro illustre concittadino. Questo progetto dà ulteriore lustro al nostro territorio, dove si trova anche la meravigliosa area archeologica di Morgantina e il suo prestigioso museo”.
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