Appuntamento alla stazione di Montecompatri-Pantano. Ore 9.45 di sabato 5 gennaio. Ecco, pare facile, ma da casa mia è un percorso misterioso, attraverso luoghi mitologici come Tor Bella Monaca, Torre Gaia, Torre Angela. Così, sono partita con l‘ovvio anticipo che mi appartiene e mi sono aggrappata al navigatore fino a destinazione. La stazione di Monte Compatri dimostra il suo contatto con l’umanità solo per via delle auto nel parcheggio. Per il resto, non si vede anima viva. Pensavo a un caffè, ma dove? Mi avventuro oltre la prima impressione, senza successo. Niente bar. Fa un freddo innominabile, in compenso.
All’ora convenuta, ecco spuntare Matteo con suo padre Furio e i loro quattro cani. Quattro perché le regole della caccia al tartufo scandiscono che ogni umano può avere con sé due cani. Noi gruppo aggiunto contiamo ovviamente solo come osservatori.
Per leggenda e tradizione, i tartufari sono bugiardi, sbruffoni, diffidenti, depistanti, gelosi, cantastorie e contastorie. Insomma, come i cacciatori e i pescatori all’incirca. Però -o proprio per questo forse- i loro racconti si fanno ascoltare.
Matteo e Furio, che a tartufi ci vanno più o meno ogni giorno, battendo tutto il centro Italia, ci hanno portato nel mondo del nero profumato attraverso i boschi e le esperienze, mischiando i richiami ai loro riccioluti lagotti romagnoli con aneddoti e conoscenze base, scavando la terra insieme ai ricordi.
Per esempio, la stagione dei tartufi é aperta tutto l’anno, cambiano soltanto le specie che si possono dissotterrare e le regioni che, autonomamente, impongono stagioni di caccia. Come per le scuole e i negozi, suvvia. Può capitare che un certo tartufo lo puoi prendere qui e 100 metri più in là sia fuorilegge. Ma i confini dei boschi sono labili e fluttuanti in perfetta buona fede, democraticamente si definiscono tutti boschi e vanno avanti insieme senza discriminazioni.
Mai un cercatore di tartufi svelerà i suoi segreti di alberi e tuberi, mai ammetterà una giornata vuota, ma nemmeno la bisaccia piena. Insomma, sono specchi, nebbie, aneddoti sparpagliati tra rocce e sentieri. Oggi all’ombra del santuario della Mentorella, enclave polacca in terra di Zagarolo.
I cani, per esempio. Vanno addestrati. I loro sono questi lagotti romagnoli, nel lignaggio hanno le paludi del Po e la caccia alle anatre. Sono adorabili, una cascata di riccioli fitti, che quasi non si vedono gli occhi, dai quali grondano buon umore e buona volontà al lavoro. Piccolo neo: sono anche loro ghiotti di tartufi e quando sono piccoli se li mangiano con un pizzico di strafottenza. Tanto sanno che di fronte a “estranei” non saranno mai puniti. E se sulla carta tutte le razze o le mescolanze vanno bene, poi invece sono privilegiati quelli come loro, che “hanno perso l’istinto cacciatore” perché altrimenti “se poi ti partono dietro a una lepre, hai buttato la giornata”.
E non si può. Perché i tartufi sono oro e passione. Furio, per esempio, mi ha raccontato di un russo benestante che non ha voluto compagnia nella sua “giornata del tartufo” e ha pagato senza battere ciglio per coprire i dieci posti di quel tour. E poi, ha comprato tutti i tartufi della giornata, mica spiccioli. Infine, preso d’amore per il nuovo cibo, ha predisposto di mandare ogni mese -sottolineo, ogni mese- un messo dalla Russia a Fiumicino per ritirare un chilo di tartufi “necessario” allo sfizio della famiglia. Curiosità.
Dai boschi alla tavola. Dopo tutto quel freddo, fame da lupi. E quindi, Furio e Matteo nel loro bellissimo agriturismo, tra camelie, rose e piante esotiche, imbandiscono l’ultima danza del tartufo, quella in cucina: risotto, uova (della casa), mozzarelle e tomini caldi, patate e chissà cos’altro mi sono dimenticata. Lo strato é bello spesso, non si lesina, giammai. Anche il resto è tutto a km zero, affettati del norcino sotto casa, farine del mulino amico, pane appena sfornato. Prossimo pasto, prossima settimana. Oppure tra 30 km di corsa.
P.S: Non faccio mai pubblicità, ma loro sono bravi e appassionati e le review sono ottime Dunque… strappo alla regola
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