In realtà, i mostri non sono le segretarie, ma i loro boss. E i soliti luoghi comuni. Qualche giorno fa chiacchieravo con una mia amica. Raccontava la sua esperienza da assistente di un ‘super presidente’. Lei parla tre lingue come se fossero tutte sue, é laureata, ha vissuto a Bruxelles e altrove. Suo unico handicap, aver fatto alcuni figli. Episodi che l’hanno espulsa inesorabilmente dal mercato delle carriere e riassegnata a quello degli stereotipi.
Diventata in breve assistente (vabbè, dai, segretaria) di questo presidentone, raccontava con leggerezza malinconica la sua vita quotidiana. “Quando lui (lo scriviamo tutto maiuscolo LUI? Lo faccio, purché sia chiaro che mi riferisco al suo ego, che lascio minuscolo almeno in questo scritto) faceva un errore, mi diceva: ‘Signora, sa cosa fare…’”.
Non voglio proprio sorvolare sul “signora” e non “dottoressa”. Non siamo in un salotto e nemmeno al mercato. Sul lavoro, a ognuno il titolo che ha. Si può immaginare lo stesso LUI rivolgersi a un segretario (laureato) appellandolo “signore?”.
Detto ciò, ecco cosa doveva fare la “signora”.
“Buongiorno, sono la segretaria di LUI. Vorrei davvero scusarmi, ho commesso uno sbaglio… eh, no, colpa mia… non avevo capito niente… mi spiace che la prenda così… no, no, LUI si è tanto dispiaciuto, non era proprio questa la sua intenzione … l’errore è mio e solo mio…”. E così via dosando il livello di autodafé a seconda della reazione dell’interlocutore.
Ecco. Ci abbiamo messo tutto dentro, no? Misoginia, scaricabarile, umiliazione non dovuta, disprezzo per il lavoro altrui, orgoglio maschile preservato, stereotipi alimentati, pregiudizi sulla professionalità delle donne confermati. Qualcuno può immaginare lo stesso pomposo LUI pretendere uguale commedia da un maschio? Un episodio banale, che però mi ha molto colpito. C’è parecchia strada da fare.
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