Non so proprio da dove cominciare. Forse dall’aereoporto. Appena atterrata sono stata invasa da un inspiegabile senso di felicità, sprigionavo aspettative e vibravo di impazienza. Sono, -quanti?- quindici anni forse che non mettevo piede in Sicilia e me la sono subito sentita sento addosso come se fosse casa mia. Sangue che si sveglia? Non ci credo, ma non trovo spiegazioni. Lasciamo il mistero a crogiolarsi nel suo brodo.
Certo, l’arrivo al palazzo “di casa” mi ha emozionato. Ci sono venuta svariate volte nel corso dei decenni. Da bambina con i nonni. Qui ho ricordi felicissimi, i primi distacchi (senza alcun trauma, in verità) dai miei genitori. Il viaggio in un treno senza tempo, questa famigliona interminabile e allegra, dove tutto veniva preso con ironia e leggerezza e mai i commenti intaccavano l’affetto. Modalità insolite. E poi, sono venuta per la tesi di laurea, studiavo in biblioteca e passavo ore con la mitica zia Maria, aspetto dolce e schiena di ferro, una donna modernissima d’altri tempi, che governava il palazzo e sorvegliava la la stirpe di nipoti con l’occhio della sovrana pseudo distaccata. Zia Maria ha sempre amato e sostenuto le donne di casa, incurante del comune senso tutto indirizzato a puntellare l’orgoglio maschile.
Oggi ci sono mia cugina Alessandra e la mamma Maria Teresa. L’altra cugina, Costanza, resta partecipe da Londra. Forze della natura, lottano quotidianamente con i dispetti ingegneristici e architettonici di un palazzo secolare. I fasti sono mantenuti, ma il corpo a corpo con il tempo non è un placido scorrere di acque.
Ritorno nella “mia” stanza della alcova, accanto al salone delle feste -detto galleria- e affacciata sulla terrazza più bella del mondo, decorata di melograni e pomelie. Le finestre abbassate delle vicine evocano lo scontro epico con le mie zie, due contro due, a colpi di saluti mancati e attese sferzanti sulle porte. Impossibile dimenticare i racconti di un’epoca solo lambita, ma sempre ravvivata nella convivenza di palazzo. Il passato non si cancella, si può solamente arricchire di nuovi episodi.
Dal mio letto protetto, la notte si sente la casa respirare, i sussurri e gli scricchiolii di secoli che si assestano, generazioni si affollano nel salone da ballo, accettano rinfreschi e cannoli sparpagliati tra i gruppi di divani. Nei dettagli c’è la storia, quegli interruttori della luce ottocenteschi, i pomelli delle maniglie di porcellana decorata con corbeille di fiori. La cosa curiosa è che qui non sembrano esistere pezzi unici: di tutti gli oggetti, che siano poltrone o vasi, orologi o lampade ce ne sono sempre due uguali. Come se i secoli non avessero rotto niente. Io non mi stanco di vagare con gli occhi e scoprire nuovi racconti nelle cose.
Ma naturalmente in primo piano ci sono sempre le persone. Cugine e cugini, zii e zie (ma forse anche loro sono cugini, boh?) di ogni età. A cominciare da Matilde. Insonne e instancabile. Ha organizzato una cuginata” per me. Ho ritrovato così piccolini uomini e donne fatti. Ho seguito le evoluzioni dei presenti e degli assenti attraverso i racconti e gli aneddoti. Abbiamo mangiato, scherzato e riso assai. Preso aperitivi e girovagato per i tesori di Palermo. Tutto fa legame.
Ho scoperto aneddoti e lati di carattere di nonni e zii, alcuni miti sfatati, molti altri arricchiti. Colmato le lacune della mia casa assai più abbottonata. Ho assaporato un modo intraducibile di prendere la vita e le sue bizze anche crudeli, vissute -per l’appunto- ma non trasformate in rancore o trascuratezza. Che si è tramandato nelle generazioni, ma, a quanto pare, si è fermato a Palermo.
“Perché ci hai messo tanto tempo a venire?”, mi ha chiesto Maria Teresa. Non lo so. Non succederà più.
Hits: 468