Quando Anna e Giorgio mi hanno proposto una visita alla Sacra di San Michele, naturalmente io ho capito la sagra di San Michele. E dunque ho accettato con entusiasmo l’idea di bighellonare tra artigianato e prodotto dell’agroalimentare piemontese, anche al ritmo di tamburelli locali. Trallalà, insomma. Con calma -diciamo- ho capito che si trattava di tutt’altro. Lo racconto per chi non è della zona e non è dotato di strumenti culturali sofisticati (come me).
La Sacra di San Michele si arrocca in vetta al monte Pirchiriano “culmine vertiginosamente santo”, recita una apposita iscrizione. Santo non so, però si abbraccia una intensa visione della Val di Susa, ben nota per altre più o meno veloci vicende. La valle é effettivamente spettacolare, e la giornata senza sbavature meterologiche ha perfezionato lo splendore.
Il monastero ha la caratteristica di trasportarti nel Medioevo, epoca di monaci, santi e cavalieri, nel perenne intrico tra secolo e religione.
L’incontro e lo scontro tra sacro e profano, tra secolare ed ecclesiastico si percepiscono chiaramente nell’architettura, negli oggetti nell’atmosfera. La statua dell’arcangelo Michele torreggia, una mano in benvenuto, l’altra impugna la spada perché il male è sempre in agguato. Rinforza la leggenda di Alda, giovinetta temeraria che si lanciò dalla torre per sfuggire ai soliti bravacci restando illesa. Tuttavia, per vanità e denaro, a pericolo scampato ripetè l’impresa sfracellandosi sulle rocce sottostanti. Medioevo puro. Miracolo e punizione.
La Sacra ha una personalità secca. Linee dure e pure contro il cielo è la montagna grigia di rocce e verde di boschi. Niente chiaroscuri. O l’uno o l’altro. La immagino sotto la neve, inaccessibile ad altro che alla riflessione interiore, percorrendo lo Scalone dei Morti, varcando la Porta dello Zodiaco, perforando con lo sguardo gli Archi Rampanti neogotici fino alla chiesa e al suo terrazzo mozzafiato. Senza apparire blasfema, penso che anche Harry Potter si troverebbe benissimo qui.
Il borgo che cresce tra i piedi dell’Abbazia è piccolino e contegnoso. Una trattoria familiare propone polenta e selvaggina. Sul sentiero spunta un montanaro con i suoi formaggi di baita.
Ancora sacro e profano e sono fantastici entrambi.
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