C’è una innegabile soddisfazione nel ripercorrere una bella vacanza. Come sempre accade, gli aspetti piacevoli si esaltano a distanza e restano negli occhi le immagini sfolgoranti. Ci vuole qualche giorno per raccogliere idee e sensazioni, poi il viaggio si completa e si assesta.
La Grecia è davvero un posto meraviglioso. Dolce e salato, saggio nei modi ed estremo nell’estetica. Centinaia di secoli spesi per trovare un equilibrio tra uomo e natura che non esiste altrove. Non sono sguaiati, nè sgangherati, i greci. Fuori misura non ne frequentano.
L’accoglienza, per esempio. L’ho già detto, ma ne sono proprio ammirata. Il senso di ospitalità si fonde con il rispetto. Mai, in tutte le volte che ci sono stata, sola o in compagnia, mi sono sentita invasa, spennata, mal trattata, fagocitata. C’è quella riposante gentilezza che permette di sedersi ovunque, sicura di trovare semplicità di ottima stoffa.
Pur mantenendo in fondamentali, Creta è un po’ diversa dal resto. Intanto i contrasti: in pochi minuti si passa dalla gola montuosa più inaccessibile al mare sereno. Ogni luogo è difficile da raggiungere, bisogna sudarselo. Strade grandi non ce ne sono, a parte sporadiche eccezioni e per tratti troppo brevi per essere presi in considerazione davvero. Le vie costiere, a differenza di quasi ovunque, sono sconsigliabili perché un po’ pedisseque con la costa. Assecondare va bene, ma a seguire proprio ogni minimo capriccio si rischia (anzi si è certi) di non arrivare mai. E infatti le strade sono strettissime e se qualche pezzo è volato giù, pazienza, ci si arrangia con l’abilità e il savoir faire…
Ad agosto, tutto è avvolto in un caldo meraviglioso, secco e mai invadente, che ti permette di uscire la sera a spalle scoperte, ma anche di dormire senza aria condizionata. A Loutro, Sweetwater per la precisione, la palma della spiaggia più rovente. Non si poteva stendersi sul pareo nemmeno bagnati per il calore sprigionato dai sassetti. Però il mare marmorizza l’acqua calda con quella fredda in un suo particolare modo. Il paese in sè invece non vale molto. Si raggiunge solo con un complicato, ma semplicissimo sistema di traghetti e barche-taxi che solo i greci hanno saputo inventare.
Assai pittoresco, per carità, però sembra finto nella sua precisione cromatica. A guardarlo dal mare dà l’idea di un grappolo di residence disegnato da un bravo architetto, privo d’anima. Onore a chi valorizza ciò che ha e incrementa l’economia, ma a me non piacciono tanto questi fili di stanze sovrapposte, tutti uguali, tutti bianchi e blu, coordinati ai ristoranti affiancati che si autoreplicano fino a fine lungomare. Detto questo, l’atmosfera é comunque piacevole e garbata, senza eccessi.
Altro aspetto peculiare della vita cretese é il cibo. Cibo greco classico, ma con molte influenze turche e veneziane. D’altronde, Creta è isola di conquista e di passaggio, commerci e culture si mescolano più qui che altrove. La storia ha parecchio bastonato i suoi abitanti, periodicamente sottoposti a cambi di interlocutori (diciamo così, va) fino al sangue efferato delle seconda guerra mondiale e alla ostinata resistenza. Nonostante ciò, forse per il passare del tempo, ci sono parecchi tedeschi in visita. Vabbè, come al solito ho divagato.
Torniamo al cibo. Le porzioni, per prima cosa. Bastano regolarmente per due. La solita Greek salad qui è impreziosita da uova sode, crostini tipo mini friselle e da un formaggio simile alla feta, ma più morbido e cremoso. Una specie di stracchino con il sapore della feta, in estrema sintesi. Poi pomodori e peperoni ripieni di riso (ghemista), i miei adorati dolmadakias che ho mangiato all’inverosimile, l’imam, melanzana ripiena con pomodoro, carne, uvetta, pinoli e cotta in forno. Tipici i dakos, friselle grandi con formaggio cremoso e pomodoro.

Il bello è che ogni posto propone la sua versione, non esiste il precotto o il malcotto a uso degli stranieri. Tutto è fatto in casa e portato con orgoglio.
Alla fine, dolce, frutta e l’immancabile raki, grappa locale ghiacciata, sono sempre offerti dalla casa. Stupefacente ogni volta il conto, che non ha mai superato i 12 euro a persona. Senza banchetti pantagruelici, ma senza certo patire la fame. Ho cenato a Chania in un posto sul mare, dove hanno servito perfino i ricci, la murena e la razza.
E in un altro che era un palazzo veneziano distrutto da una delle guerre passate e poi occupato da bellissimi alberi intorno ai quali si sono sviluppati i tavoli. E non voglio dimenticare la piccola taverna pied dans l’eau, trovata per caso, popolata da una nidiata di gattini, dove ho mangiato un pesce arrosto special.
Che dire altro di un posto così? Che si possono ancora fare scoperte e trovare esclusività a due passi dal comfort e nonostante la baraonda. Insomma, non andateci, please.
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